Subito dopo aver alzato il suo primo trofeo internazionale (di fatto il suo primo trofeo tout court) Vincent Aboubakar si è presentato alle interviste di rito con un foglietto tra le mani: l’ha srotolato e ha mostrato una frase che – è difficile dire se più pretenziosamente o con umile fedeltà – sostiene di aver vergato prima di scendere in campo. È una citazione biblica, anche se dalla sintassi zoppicante: “Fiat lux, et lux est facta”.
Qua il video, in cui ha un’espressione troppo entusiasta per pensare che si tratti di qualcosa di artefatto.
È complicato individuare il vero Deus ex machina nella vittoria – per molti versi inattesa – dei Leoni Indomabili: come si fa a scegliere il migliore di un gruppo che si è elevato in maniera monolitica? Eppure dopo il CT Hugo Broos e Christian Bassogog, giovane con una carriera stranissima nominato MVP della manifestazione, sembra difficile non scivolare col pensiero ad Aboubakar.
E non solo per questo gol segnato all’89’ della finale, il sigillo sul titolo.
Nonostante fosse il nome più prestigioso della rosa, Aboubakar è sceso in campo, in totale, per poco più di 140 minuti complessivi: il tempo, cioè, di una partita che attraversa i supplementari e una serie di rigori serrata per trovare compimento.
Inizialmente fuori dai piani di Broos (veniva da una stagione non proprio esaltante in Turchia, segnata dalla miseria di 3 reti in campionato), bocciato nella prima uscita da titolare contro la Guinea-Bissau, la pantocraticità di Aboubakar è cominciata a emergere a partire dai quarti: contro il Senegal ha tirato il rigore decisivo, e contro il Ghana ha servito l’assist del verdetto finale a Bassogog, collezionando complessivamente neppure la durata di un tempo di gioco.
Effetto Aboubakar: attacco e centrocampo cominciano a interagire, e si intravvedono anche qualche pisadita e accenni di paso-doble.
Ciò che ha fatto di Aboubakar l’MVP del Camerun in finale, ben oltre il gesto tecnico superbo con cui a un minuto dalla fine controlla il pallone stretto nella morsa di tre avversari, ne elude uno con un sombrero maleducato e chiude a rete con una frustata a terra, e forse anche ben oltre la consapevolezza che solo una prodezza del genere avrebbe potuto risolvere la partita, è stata l’accettazione orgogliosa, e per nulla rancorosa, del proprio ruolo.
Vale a dire quello di supersub. O depositario di una palingenesi in odore di predestinazione, a seconda di quanta fiducia decidiamo di riporre in un foglietto raggrinzito.